26 Novembre 1862.

Lewis Carroll, reverendo e matematico inglese dedito alla letteratura, consegna e regala per la prima volta alla figlia di un amico il manoscritto di quella che sarebbe diventata una delle opere più famose dell’ultimo secolo.

Alice nel paese delle meraviglie è una storia che riflette la cultura dell’epoca di Charles Dogson, vero nome di Carroll, attraverso allusioni a personaggi, eventi e proverbi popolari che vengono raccontati giocando con regole proprie della linguistica, matematica e fisica.

E in più di 150 anni Alice di strada ne ha percorso, portando il suo mondo nella realtà: l’immaginario comune che questa opera ha creato ha influenzato e continua ancora oggi ad influenzare l’arte in tutte le sue declinazioni. L’impatto maggiore si è avuto senza dubbio nel mondo della musica rock, con un viaggio che brevemente sto per riassumere.

Neil Sedaka, famoso cantautore statunitense, nel 1963 registra «Alice in Wonderland», letteralmente una canzone d’amore dedicata al personaggio inventato da Carroll.
Questo è solo l’inizio: d’altronde gli anni Sessanta, sono quelli in cui le giovani generazioni dichiarano e urlano il proprio desiderio di libertà, e per farlo si servono della musica e delle droghe sintetiche. La “rivoluzione psichedelica” esplode, assieme ad infiniti “paesi delle meraviglie”.

Nel 1967 i Jefferson Airplane incidono White Rabbit, canzone dal ritmo incalzante che dà davvero l’idea di inseguire il Bianconiglio e trasporta l’ascoltatore in un mondo surreale.

Ma il meglio sta per venire.

Come non citare i Beatles che nello stesso anno, con “I am the Walrus”, danno vita al loro mondo delle meraviglie, sconnesso, illogico, ermetico ma soprattutto psichedelico. Il riferimento a Carroll è sottile, ma quello alla rivoluzione psichedelica è molto evidente.
John Lennon era un grande fan dello scrittore e altre illusioni del romanzo si trovano in canzoni quali «Cry baby cry», «Come together» e «Glass Onion».
Chiudendo i ‘60, citazione a parte merita naturalmente il grande Syd Barrett, icona della psichedelia e fondatore della leggenda dei Pink Floyd. Nel 1970 incide l’album che omaggia Carroll già nel titolo: «The Madcap laughs» ed entra ufficialmente nella storia del rock come Cappellaio Matto.

Durante gli anni Settanta e Ottanta sono da citare i tributi di Siouxsie and the Banshees e degli Alice in Chains, ma sommariamente i riferimenti in questo periodo sono più labili rispetto a ciò che succede nei Duemila, in cui si assiste ad un ritrovato interesse verso i mondi magici e immaginari di Alice nel paese delle meraviglie.

I riferimenti nella discografica dei Korn sono tantissimi e anche gli Aerosmith hanno fatto la loro parte attraverso la canzone “Sunshine”, pubblicata nel 2001 e diventata poi una super hit.
Con versi del tipo “I followed Alice into Wonderland / I ate the mushroom and I danced with the queen,” “Took to the hatter like a walk in the park,” e “I chased that rabbit up an old oak tree/ That caterpillar’s trying to cop a plea / But the smoke ain’t got nothing on me,” non manca proprio nessuno dei personaggi di Carroll, ad eccezione dello Stregatto. Niente paura comunque, l’irriverente gatto dal sorriso iconico viene menzionato nella canzone “Rock in a Hard Place”.

Sicuramente tutto molto bello, ma personalmente questo viaggio mi ha lasciato un dubbio. Era Lewis Carroll a non sapere quanto fosse rock, o siamo noi protagonisti del mondo reale ad essere tutti matti?